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Storie nuove per un mondo diverso

21.04.2025


Oggi, 22 aprile, è la Giornata Mondiale della Terra. Ieri ero a Riccione, dove ho tenuto una conferenza proprio su questo tema. Ho aperto il mio intervento con un pensiero a Papa Francesco, scomparso improvvisamente. Nell’Enciclica Laudato Sì del 2015 scriveva:

“L’uomo non è soltanto una libertà che si crea da sé. Egli è spirito e volontà, ma anche natura.”

Con queste parole, prendeva le distanze da una visione radicata nella tradizione della Chiesa, che per secoli ha separato l’uomo dalla natura, elevandolo a dominatore del creato.

Sono 52 anni che il 22 aprile si celebra la Giornata della Terra. Un anniversario che affonda le sue radici nel coraggio di Rachel Carson, autrice nel 1962 del libro Primavera silenziosa. Un testo che diede voce alla natura ferita. Il titolo evocava un’immagine poetica e terribile: una primavera senza il canto degli uccelli. Carson denunciava gli effetti devastanti dei pesticidi chimici, che, pur presentati come strumenti di progresso, avvelenavano la catena della vita. Nessun ronzio d’api, nessun fruscio tra i rami: solo silenzio. E quel futuro che lei temeva, oggi è davanti ai nostri occhi.

“L’uomo non è soltanto una libertà che si crea da sé. Egli è spirito e volontà, ma anche natura.”

Papa Francesco

In un mondo che corre veloce, fermarsi a guardare questa biglia blu sembra un privilegio. Eppure è proprio ciò che dovremmo fare: osservare la Terra da lontano, come parte di una storia molto più grande della nostra. Ha 4 miliardi di anni, noi siamo comparsi solo negli ultimi quattro secondi dell’orologio della vita, eppure, nonostante questo, in un tempo così breve, abbiamo già trasformato il pianeta più di qualsiasi altra forza naturale: abbiamo perforato, scavato, cementificato, inquinato e siamo diventati una forza geologica.

La crisi climatica non è solo un’emergenza ecologica: è una crisi dell’essere umano. Una crisi di visione, di valori, di narrazione. In fondo, ciò che facciamo alla Terra riflette quello che pensiamo di noi stessi. Per secoli ci siamo raccontati come esseri al centro del mondo, separati e superiori alla natura, autorizzati a sfruttarla, dominarla, consumarla. Da questa narrazione è nato un sistema economico e culturale fondato sull’estrazione, sulla crescita illimitata, sul consumo compulsivo.

Ma c’è un altro modo di guardare. Qui entra in gioco l’esplorazione. Marcel Proust scriveva:

“Il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi.”

L’esplorazione – intesa non solo come avventura geografica, ma come atto di apertura, di ascolto, di meraviglia – ha il potere di cambiare la narrazione. Quando esploriamo il mondo con occhi nuovi, ci mettiamo in relazione con qualcosa di più grande, più complesso, più fragile e più vivo di noi. Esplorare significa guardare, capire, sentire. E quindi, anche prendersi cura.

Chi esplora porta con sé racconti diversi: storie di interconnessione, di resilienza, di limiti che non sono barriere ma confini da rispettare. In questo senso, l’esplorazione è uno strumento narrativo potentissimo per costruire un nuovo immaginario: non più quello del dominio, ma quello dell’alleanza tra l’uomo e il pianeta.

“Il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi.”

Marcel Proust

Ogni viaggio lascia un insegnamento. Remare sull’oceano ti fa sentire minuscolo di fronte alla vastità, ma ti fa anche comprendere quanto siamo parte di un sistema complesso e interconnesso. Viaggiare in Alaska ti fa toccare con mano il cambiamento climatico: i ghiacci che si ritirano, le stagioni che si scompongono, i villaggi che devono essere abbandonati.
Navigare nei fiumi soffocati dalla plastica è come guardare lo specchio rotto della nostra civiltà, e camminare sul ghiacciaio Vatnajökull insegna che il ghiaccio non è solo silenzio e freddo: è memoria. Una memoria che si sta perdendo.

Attraverso l’esplorazione, il mondo smette di essere una mappa e diventa una storia. Una storia che ci chiede: chi sei tu, in relazione a questo luogo?

Lo scrittore americano Joseph Campbell ci ha insegnato che le storie e gli archetipi plasmano il nostro modo di interpretare la realtà. Un tempo, le storie parlavano del divino femminile, della ciclicità, dell’interdipendenza tra uomo e natura. Oggi, abbiamo perso quei racconti, sostituendoli con narrazioni di dominio, sfruttamento e consumo. Ma siamo noi a scrivere i miti del futuro. Le generazioni che verranno ci osserveranno. E allora dobbiamo chiederci: quale storia vogliamo lasciar loro?

Il 3 maggio, su questo stesso palco di riccione, si esibirà Edoardo Bennato. Con la sua L’isola che non c’è evoca un luogo immaginario, lontano dalle convenzioni, dove tutto è ancora possibile: un mondo altro, libero, forse più giusto.

L’isola che non c’è non è solo una fuga, ma un atto di resistenza contro il disincanto, una rivendicazione di sogni e possibilità. Ed è proprio questo che ci chiede la Giornata della Terra: non solo di proteggerla, ma di immaginare un altro modo di viverci dentro. E in questo senso, la “seconda stella a destra” può diventare una metafora del nostro nuovo cammino collettivo, verso una civiltà che cominci a custodire.